Il piccolo schermo e la religione nell’ultimo numero di Link

Link, interessante rivista scientifica edita da Mediaset/RTI e dedicata al mondo della televisione, dedica la cover story del suo ultimo numero (di cui è  scaricabile gratuitamente un’anteprima di 90 pagine da Issuu, previa registrazione) ad un tema quanto mai stimolante: “Vedere la luce. Dio e la televisione”. “La tensione verso il trascendente, verso Dio o verso un dio – si legge nella presentazione del numero-  è tipica dell’uomo e di ogni sua attività, compresa la tv. Che ha provato ad avvicinarsi al totalmente Altro in molti modi: diffondendo il Verbo, mettendo in scena la Parola che si fa racconto, fornendo strumenti per affrontare i casi della vita (e della morte). O, addirittura, mimandone i rituali e creando proprie divinità”.

Sul tema si confrontano tra gli altri Mons. Gianfranco Ravasi, Aldo Grasso, Ugo Volli, Alessandro Zaccuri, Peppino Ortoleva, Giuseppe Feyles, Stefano Pistolini, Federico Sarica, Carlo Antonelli, Matteo Bordone e Carlo Freccero. Particolarmente stimolante (e scritto nel solito stile immaginifico) il breve saggio di quest’ultimo, intitolato “Vite sintetiche. True blood e la religiosità del male”. “Non è casuale che sia stata una scrittrice di fede mormone come Stephanie Meyer ad aver creato lo stereotipo dei vampiri buoni di Twilight  -scrive Freccero- Il Dio della Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni è misericordioso e concede alle sue creature infinite possibilità di salvezza. Persino quanti sono morti senza conoscere il Dio cristiano e senza essersi convertiti possono essere battezzati e salvati per procura dai discendenti che hanno abbracciato la vera fede. Per questo i mormoni hanno costruito una colossale banca dati che ricostruisce la genealogia di ogni famiglia a ritroso nel tempo. Un Dio d’amore, un padre, non può creare una creatura malvagia. Il vampiro si nutre di sangue perché tale è la sua natura. Non possiamo incolparlo di alimentarsi, così come non possiamo accusare i predatori carnivori di nutrirsi di carne”.

Anche gli altri contributi sono comunque interessanti è meritano un’attenta lettura.

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Comunità online e chiese: uno stop dai giudici americani

Può una comunità che vive soltanto online fregiarsi della denominazione di “chiesa”? La risposta a tale domanda ha implicazioni teologiche non indifferenti, come si può facilmente intuire, che spaziano dal campo liturgico a quello sacramentario e così via. Negli Stati Uniti è stata ora data una risposta a tale domanda, anche se ciò che l’ha originata non sono astratte questioni teologiche ma molto più concreti interessi di dare e avere: Negli States, infatti, le Chiese riconosciute come tali godono di importanti e sostanziosi benefici fiscali.

La Foundation of Human Understunding, una comunità virtuale che vive soltanto in rete e via etere, ha fatto quindi richiesta per essere riconosciuta ufficialmente come “chiesa”, ma la sua domanda è stata rigettata dalla Corte d’appello federale. Quest’ultima, nella propria sentenza, ha stabilito che esistono alcuni criteri minimali perché una chiesa possa essere riconosciuta come tale: un credo, una forma di culto, un insieme di dottrine, una disciplina interna, dei leader riconosciuti, dei membri che non siamo contemporaneamente anche fedeli di altre chiese ed un regolare servizio di culto.

È proprio su quest’ultimo punto che pare si siano infranti i desideri della FHU di vedersi riconosciuta come chiesa. Mentre infatti per i precedenti criteri non pare sussistano particolari problemi, il giudice ha stabilito che il cosiddetto “ministero elettronico” non possa essere ricompreso tra quelli previsti dal legislatore americano. La sentenza farà indubbiamente discutere e ne risentiremo parlare, non solo negli States.

Turchia: un cartoon per promuovere il Ramadan tra i più piccoli

Mai forse come quest’anno le polemiche hanno investito il mese di Ramadan, accusato da più parti di essere diventato veicolo del consumismo più sfrenato. Devono aver fatto simili considerazioni anche in Turchia, concependo il cartone animato “Super Ramazan”, programmato in questi giorni sulla televisione nazionale e destinato proprio a diffondere i valori del mese più sacro dell’Islam tra le giovani generazioni.

Il cartone (destinato ad un target tra i 4 e i 14 anni di età, qui un trailer) ha per protagonista un bambino, di nome appunto Ramazan che, dopo essere stato colpito dal pide,  il pane con cui al tramonto si interrompe il digiuno, scopre di avere dei superpoteri, indossa mantello e maschera, si toglie gli occhiali e si trasforma così, da bambino timido e impacciato, in supereroe dell’Islam per poi tornare nelle vesti abituali.

Sostanzialmente positive, anche se con diverse sfumature, le reazioni all’iniziativa.  Il presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche d’Italia, Izzedin Elzir, l’appoggia incondizionatamente: “Non l’ho visto ma sicuramente l’idea è positiva. Spero che venga data la possibilità a chi ha pensato a questo tipo di forma d’arte di poter continuare a produrne altre. Certamente l’educazione islamica passa dalla famiglia ma va bene qualsiasi tipo di iniziativa positiva come può essere quest’idea del cartone. I bambini che vogliono osservare il Ramadan imitano i genitori che digiunano dalla mattina al tramonto ma non possono assolutamente farlo. Un cartone del genere può aiutare a capire la religiosità e aiutare i genitori”. Mario Scialoja, consigliere del Centro Islamico Culturale d’Italia, pur non bocciando l’iniziativa, è invece più cauto: “Prima di giudicare quest’iniziativa bisognerebbe vedere il cartone. Può essere una cosa graziosa ma ricordiamo che i minorenni non sono tenuti ad osservare il Ramadan anche perché questo periodo non è incentrato sui bambini ma sui fedeli adulti”.

L’Europa e la libera circolazione degli dei

Come si sa, in Europa vige la libera circolazione delle persone e delle merci. Ma gli dei? Loro possono circolare liberamente nello spazio comune europeo? Alla domanda, solo apparentemente paradossale, tenta di dare una risposta un interessante articolo apparso sul settimanale tedesco Die Zeit e apparso in italiano su Europress, l’agenzia che traduce in ripubblica nelle varie lingue continentali il meglio della stampa europea.

L’articolo parte dall’assunto che i cittadini europei non sono abbastanza preparati ad affrontare le sfide che le religioni pongono alla società del XXI secolo, questo nonostante il vecchio continente sia la parte del mondo meno credente in assoluto. Come conseguenza, evidenzia l’articolo, non si trova strada migliore che rifugiarsi nel laicismo alla francese:  “si può vietare in buona coscienza il velo nelle scuole, e poi naturalmente devono scomparire anche i crocefissi. Il diritto rende tutti uguali, cioè in questo caso: uguale sospetto, uguale controllo, uguale repressione”. Ma questa, sottolinea ancora l’articolo, non appare affatto la strada giusta. Strada che deve prendere invece il nome di molteplicità: “Come in campo economico e tecnologico, anche in merito alle concezioni del mondo l’occidente non ha più il monopolio. Non può semplicemente dichiarare a nome di tutti che la fede è morta o superata, ed è meglio tenerla fuori dagli affari terreni”.

“È vero –conclude l’articolo- la religione è pericolosa, e in suo nome è stato versato fin troppo sangue. Però può essere anche una forza di resistenza contro il dominio indiscusso e le pressioni conformiste di stato e società. Nei paesi musulmani ci si appella all’Islam per invocare giustizia, ad esempio contro il regime dittatoriale egiziano. La politica sa che la sfida con i credenti non può che farle bene – questo è uno degli argomenti per il mantenimento della religione nell’arena pubblica. Che le relazioni esistenti oggi non sono le uniche immaginabili lo ricorda ogni croce in cima a una chiesa in ogni città europea. Potrebbe essere anche la mezza luna di una moschea”.

La realtà, insomma, è sempre più complessa delle nostre semplificazioni, e non è affatto detto che questo sia un male.

Dall’Inghilterra “Rev”: l’imprevisto successo di una serie tv su un prete anglicano

Mentre in Italia siamo ancora fermi a Don Matteo alle prese con la soluzione di improbabili omicidi, in Inghilterra sta avendo un buon successo di critica e di pubblico (anche se le polemiche ovviamente non mancano) la sitcom “Rev”. Protagonista è Adam Smallbone, prete anglicano quarantenne inviato, insieme alla moglie, in un quartiere povero dell’East End londinese. I primi ad essersi stupiti del successo della serie (testimoniato dai due milioni si spettatori, tanto da averne fatto la commedia di maggio successo della Bbc) sono stati i suoi stessi ideatori, come riferisce Paola De Carolis in un articolo (non online) sul Corriere dela Sera: “Non ci avrei creduto –racconta uno di loro-. Doveva essere uno spettacolo minore, non era per niente scontato che andasse in onda”. Anche l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, a quanto pare, avrebbe espresso il suo apprezzamento per la serie tv e ringraziato il programma per “aver mostrato il continuo impegno della chiesa in zone dfficili”.

Punto di forza di “Rev” (al contrario delle sitcom “clericali” di casa nostra) sembra infatti essere la normalità delle situazioni in cui i protagonisti si vengono a trovare, mentre le medesime divengono una sorta di pretesto per affrontare le più svariate problematiche con cui possono venire alle prese un parroco e i suoi parrocchiani. Il quotidiano Il Foglio ha definito il reverendo Adam una sorta di dottor House del clero.

Chissà se la serie verrà mai trasmessa in Italia. Nel frattempo ci si può consolare (ma è una bella consolazione) con alcune puntate disponibili sul web con tanto di sottotitoli in italiano.

Inghilterra: pastore metodista lancia un servizio di preghiere via Twitter

“Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto”. Chissà se il reverendo Tim  Ross, pastore metodista britannico con l’hobby del digitale e dell’arte contemporanea,  ha pensato a questa massima prima di lanciare il suo innovativo servizio. Come riferisce il quotidiano The Telegraph, l’inventivo Ross ha deciso infatti di utilizzare i 140 caratteri di Twitter per inviare preghiere e brevi messaggi ai suoi fedeli. I quali sono invitati a leggere i medesimi ad alta voce e quindi ad inviare una sorta di messaggio di ricevuto digitando “Amen”.

Il reverendo Ross è convinto che con questo mezzo potrà unire in preghiera cristiani provenienti dalle più svariate parti del mondo e, cosa ancor più importante, raggiungere anche coloro che normalmente non mettono mai piede in chiesa. “La percezione che si ha della Chiesa –ha dichiarato Ross- è quella di qualcosa di rugginoso che sta in edifici obsoleti e non in contatto con il mondo che la circonda: la mia è una dichiarazione che siamo disposti ad abbracciare la rivoluzione tecnologica”.

A dimostrazione della sua passione per il mondo digitale, Tim Ross ha anche un blog che ha significativamente chiamato Twenty-First Century Christian.