Religione e ateismo: un dibattito a più voci

Il giornale online americano Psycology Today, ospita un interessante dibattito sul ruolo dell’ateismo e della religione nell’attuale società. Tutto ebbe inizio nel maggio scorso, quando lo psicologo evoluzionista Nigel Barber pubblicò un articolo intitolato: “Perchè l’ateismo sostituirà la religione”. Le motivazioni dello studioso possono essere così sintetizzate: “Le ragioni per cui le chiese perdono terreno nei paesi sviluppati può essere riassunto in termini di mercato. Prima di tutto, con una scienza migliore, con reti di sicurezza sociali e famiglie più piccole, ci sono meno paure e incertezze nella vita quotidiana delle persone e dunque meno mercato per la religione. Contemporaneamente, vengono offerti molti prodotti alternativi, quali i farmaci psicotropi e l’intrattenimento elettronico, più libere da lacci e laccioli e che non richiedono di conformarsi in modo pedissequo a credenze non scientifiche”.

Al dibattito da ora un ulteriore contributo il filosofo Michael W. Austin con un articolo intitolato significativamente: “Perchè l’ateismo non può sostituire la religione”. La sua tesi, contrapposta a quella di Barber e che, se è vero che molte persone si sono rivolte alla religione a motivo dell’incertezza economica o per una sfida emotiva, è altresì altrettanto indubitabile che molti vivano ancora la religione non solo come una modalità per affrontare la paura, l’incertezza e le difficoltà emotive. L’uomo religioso, sostiene Austin, non è il consumatore di un prodotto: è anzi una persona convinta che la sua fede gli chieda di vivere con altruismo, in maniera disinteressata e senza pensare di essere al centro dell’universo. Ma la critica all’ateismo da parte del filosofo americano va ancora più a fondo: questo non potrà mai sostituire la religione, sostiene, perchè incapace di proporre credenze e valori positivi, fondato com’è solo sulla negazione. Compito che potrebbe eventualmente essere assunto da qualche forma di umanesimo laico, ma mai dall’ateismo.

Un dibattito in ogni caso interessante e che consente di “volare alto”, cosa di cui c’è estremo bisogno, specie di questi tempi.

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Ravasi: una Fondazione per autare il dialogo tra credenti e non credenti

Non si può certo dire che l’appello lanciato nello scorso dicembre da Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia romana per un rinnovato dialogo tra Chiesa e mondo laico e non credenti sia caduto nel dimenticatoio. Il quotidiano Avvenire ha addirittura dedicato al tema un corposo ed interessante dossier che sta via via aumentando di volume.

Dossier che ora contiene l’annuncio di una novità che vale la pena di essere segnalata perché foriera di interessanti sviluppi per il futuro. In un’intervista, infatti, monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, annuncia la prossima nascita di una Fondazione per favorire il dialogo della Chiesa cattolica con atei e agnostici. ”Il nostro dicastero – spiega l’arcivescovo – sta organizzando una Fondazione intitolata ‘Il cortile dei gentili’ che si ispira al discorso del Papa alla Curia a dicembre”. In quell’occasione, Benedetto XVI aveva invitato la Chiesa a creare un luogo di dialogo con i non credenti ‘in ricerca’ e aperti all’esperienza religiosa. L’obiettivo, prosegue mons. Ravasi, è quello di ”creare una rete di persone agnostiche o atee che accettino il dialogo e entrino come membri nella Fondazione e quindi del nostro dicastero. Inoltre, vogliamo avviare contatti con organizzazioni atee per avviare un confronto (non certo con l’Uaar italiana, che e’ folcloristica)”. Poi, il Vaticano vuole ”studiare lo spazio della spiritualità dei senza Dio su cui aveva già indagato la Cattedra dei non credenti del cardinale Martini a Milano” e ”sviluppare i temi del rapporto tra religione, societa’, pace e natura”. ”Vorremmo, con questa iniziativa – sintetizza mons. Ravasi -, aiutare tutti ad uscire da una concezione povera del credere, far capire che la teologia ha dignità scientifica e statuto epistemologico. La Fondazione vorrebbe organizzare ogni anno un grande evento per affrontare, di volta in volta, uno di questi temi”.

La preparazione umana, spirituale e culturale di monsignor Ravasi fa indubbiamente ben sperare per il proseguio dell’iniziativa, alla quale non resta che fare i migliori auguri.

Dio è tornato nelle librerie (e si spera non solo lì)

“God is back” (Dio è tornato): messa così sembra quasi più una minaccia che una promessa. Invece non si tratta d’altro che di una constatazione, almeno a sentire il parere di John Micklethwait, direttore del prestigiosissimo settimanale inglese The Economist. Il quale ha da poco pubblicato un libro con tale titolo che sta facendo discutere e che sul tema ha rilasciato un’intervista che uscirà sul prossimo numero di Famiglia Cristiana e il cui contenuto è stato anticipato sul sito Affari Italiani.

Tesi centrale dell’autore è che “la democrazia, il mercato, la tecnologia e la ragione, tutto ciò che si supponeva dovesse distruggere la religione, in realtà la rendono più forte. Capitalismo e religione camminano mano nella mano e si rafforzano a vicenda. Dio non è un’alternativa alla modernità, ma una risposta ad essa. In molti Paesi del mondo le Chiese utilizzano gli strumenti della modernità per prosperare e propagare il loro messaggio”. Sempre a parere di Micklethwait “la religione sta giocando un ruolo sempre più importante nella vita pubblica, sociale e intellettuale. Lo si vede dappertutto: dalle banlieue di Parigi ai sobborghi di Dallas, dagli slums di San Paolo alle baraccopoli di Bombay. Lo sviluppo della cristianità in Cina, con particolare devozione alla Vergine Maria, è qualcosa di sorprendente. Tra l’altro molti leader della protesta dell’89 in piazza Tien an men si sono convertiti al cristianesimo”.

Sarà interessante leggere il volume quando uscirà in traduzione italiana. Alla quale l’editore dovrà comunque trovare un altro titolo, visto che il medesimo è già stato usato per un libro uscito tempo fa e riportante le medesime tesi. Dio è ri-tornato, verrebbe da chiosare.

Informazione religiosa e credo personali: il caso della BBC

È importante sapere qual è la parte politica prediletta del responsabile dei servizi parlamentari di una redazione? È importante sapere qual è lo sport preferito del responsabile di una redazione sportiva? é importante sapere chi siano i registi preferiti di un recensore di film? Una risposta di senso comune a tali domande potrebbe essere: beh, sì, può essere pure importante ed interessante, ma la cosa più importante di tutte è che la persona in questione sia autenticamente competente delle questioni che tratta e che non si lasci influenzare dai rispettivi “credo”.

Ora proviamo a formulare un’altra domanda sulla stessa scia: è importante conoscere quale credo professi il responsabile dei programmi religiosi di un’emittente televisiva? E proviamo ad applicare la risposta di cui sopra. In teoria tutto fila liscio, ma nella pratica le cose non sono così semplici, come dimostra la vicenda di Aaquil Ahmed (nella foto) musulmano, finora in forza a Channel 4 e che ora è tornato alla BBC, da cui tra l’altro proviene, per seguirne l’informazione religiosa.

Non si tratta certo di un pivellino, visto che un suo documentario dedicato ai bambini accusati di stregoneria in alcuni Paesi africani ha pure vinto un prestigioso premio, ma la sua nomina qualche inquietudine l’ha provocata se il vescovo di Manchester, Nigel McCulloch, ha dichiarato che “Aaqil Ahmed arriva all’incarico con un’ottima reputazione. Ma in un momento in cui la programmazione della Bbc sui temi religiosi desta qualche inquietudine, la Chiesa di Inghilterra vigilerà su come si svilupperà il futuro della religione e dell’etica”.

Il Corriere della Sera, nel riferire la vicenda, ipotizza tensioni pregresse tra il neo responsabile per l’informazione  religiosa della prestigiosa emittente d’Oltremanica ed i vertici della Chiesa d’Inghilterra. Non resta che fare quindi i migliori auguri ad Aaquil Ahmed per il nuovo incarico. Ne avrà sicuramente bisogno, ma il suo caso di non cristiano posto a capo della redazione religiosa della BBC non è comunque il primo: tra il 2001 e il 2006 fu infatti la volta di Alan Bookbinder, non credente dichiarato ma ottimo professionista nel campo dell’informazione religiosa.

Barack Obama:rappresentanti di tutte le fedi alla cerimonia di insediamento

Era una battaglia perduta in partenza quella degli atei americani, intenzionati a far sì che il presidente eletto Barak Obama, dopo la tradizionale formula di giuramento (“Giuro solennemente che svolgerò fedelmente l’incarico di presidente degli Stati Uniti e farò il mio meglio per preservare, proteggere e difendere la Costituzione degli Stati Uniti”) non aggiungesse anche una postilla non prevista dal protocollo ma ormai entrata nella tradizione: “So help me God” (che Dio mi aiuti).

Anzi, il palco presidenziale che martedì sarà spettatore della cerimonia di inaugurazione dell’era Obama, sarà particolarmente affollato di ecclesiastici di tutte le fedi, con gran smacco degli atei d’oltreoceano e anche di quelli del Vecchio continente. L’invocazione ufficiale sarà tenuta infatti dal reverendo Rick Warren, la cui fama di omofobo lo insegue ormai da anni. Anche per bilanciare questa scelta, un’altra preghiera pubblica sarà pronunciata da Gene Robinson, primo vescovo gay della chiesa episcopale. Ma ci sarà spazio anche per una donna pastore, Sharon Watkins, e per i rappresentanti di altre fedi: tre rabbini ebrei, l’arcivescovo cattolico di Washington, Donald Wuerl e Ingrid Mattson, della Islamic Society of North America.

Tempi duri per gli atei, ai quali non rimane che consolarsi con una gita in autobus.