Comunità online e chiese: uno stop dai giudici americani

Può una comunità che vive soltanto online fregiarsi della denominazione di “chiesa”? La risposta a tale domanda ha implicazioni teologiche non indifferenti, come si può facilmente intuire, che spaziano dal campo liturgico a quello sacramentario e così via. Negli Stati Uniti è stata ora data una risposta a tale domanda, anche se ciò che l’ha originata non sono astratte questioni teologiche ma molto più concreti interessi di dare e avere: Negli States, infatti, le Chiese riconosciute come tali godono di importanti e sostanziosi benefici fiscali.

La Foundation of Human Understunding, una comunità virtuale che vive soltanto in rete e via etere, ha fatto quindi richiesta per essere riconosciuta ufficialmente come “chiesa”, ma la sua domanda è stata rigettata dalla Corte d’appello federale. Quest’ultima, nella propria sentenza, ha stabilito che esistono alcuni criteri minimali perché una chiesa possa essere riconosciuta come tale: un credo, una forma di culto, un insieme di dottrine, una disciplina interna, dei leader riconosciuti, dei membri che non siamo contemporaneamente anche fedeli di altre chiese ed un regolare servizio di culto.

È proprio su quest’ultimo punto che pare si siano infranti i desideri della FHU di vedersi riconosciuta come chiesa. Mentre infatti per i precedenti criteri non pare sussistano particolari problemi, il giudice ha stabilito che il cosiddetto “ministero elettronico” non possa essere ricompreso tra quelli previsti dal legislatore americano. La sentenza farà indubbiamente discutere e ne risentiremo parlare, non solo negli States.

Media e religione: solo lo 0,8% di copertura negli Stati Uniti

Ci vorrebbe un Osservatorio di Pavia anche per la religione. È il primo pensiero che salta in mente scorrendo l’interessante studio pubblicato nei giorni scorsi negli Stati Uniti e dedicato a quanto e come i media d’Oltreoceano seguono le vicende in materia di religione.

Dopo aver analizzato ben 68.700 notizie pubblicate nel corso del 2009, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che esse rappresentavano solo uno striminzito 0,8% del totale delle notizie (percentuale tra l’altro simile a quella ottenuta da altri argomenti quali l’istruzione o l’immigrazione). Percentuale estremamente bassa, ma addirittura inferiore a quella del 2008, quando un analogo studio ne aveva riscontrata una dell’1%. Per avere un termine di paragone, quelle in tema di assistenza sanitaria hanno avuto, nel corso del medesimo arco temporale, una copertura dell’11% totale delle notizie.

Circa due terzi di dette notizie, informa sempre lo studio, si incentrano su storie che hanno avuto luogo negli Stati Uniti mentre solo un terzo originano fuori dei confini nazionali. Le tv via cavo (che negli States hanno un’audience notevole) hanno dato maggior spazio alle notizie che mescolavano tra loro religione e politica, come ad esempio il dibattito seguito all’elezione di Obama ed i suoi rapporti con la fede. Le grandi reti televisive nazionali, dal canto loro, come NBC, CBS e ABC, hanno invece dato maggior spazio ad eventi internazionali, quali la visita del Papa in Medio Oriente o la revoca della scomunica ai vescovi lefebrviani.

Il rapporto analizza anche un importante trend: è destinato a crescere –vi si afferma infatti- il ruolo dei nuovi media come principale luogo deputato a riportare notizie e discussioni intorno alla religione, mentre è destinato a diminuire il numero di coloro che si occupano di tali questioni nei media tradizionali.

Per tornare all’inizio del post, è un peccato che simili accurate ricerche non vengano svolte anche nel nostro Paese.

Sarah Palin: da reginetta di bellezza alla regina Ester

Ma insomma, chi è Sarah Palin (la foto si riferisce a quando fu eletta Miss Wasilla) candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti? Tralasciando, in questa sede, le sue opinioni politiche, è interessante invece soffermarsi brevemente su quelle in materia di religione. Anche perché, come notavamo solo pochi giorni fa, le due cose sono negli States strettamente intrecciate. A questo riguardo viene in nostro aiuto un interessante articolo del New York Times il quale ha interpellato due pastori evangelici che la conoscono bene. Il primo si chiama Paul E.Riley e prima di ritirarsi in pensione era pastore della Assembly of God Church, mentre il secondo è Larry Kroon, presidente della Wasilla Bible Church, la chiesa frequentata dalla governatrice. Sembra quindi che la Palin, prima di assumere i suoi incarichi pubblici, chiese un modello biblico cui ispirarsi e le fu indicata la regina Ester, in quanto la medesima, una volta saputo dell’incarico affidatole da Dio, scoprì di possedere una forza che non pensava di avere. E la stessa cosa avviene per la nostra Sarah, affermano i due pastori: anch’essa trova la sua forza nella Bibbia ed è convinta di essere al servizio di Dio. Ecco spiegate quindi delle affermazioni che altrimenti suonerebbero sorprendenti, come quella di pregare perché sia fatta la volontà di Dio nel portare in Alaska la costruzione di un grande oleodotto o quella (ben più grave) che dice che l’invasione dell’Iraq fa parte di un piano voluto da Dio. Se a tutto ciò si aggiunge che la Wasilla Bible Church ha un piano per “convertire” gli omosessuali all’eterosessualità, beh, qualche motivo di preoccupazione forse è legittimo.

Update: ops, sembra che le cose vadano in maniera anche peggiore di quanto sembrasse

Dio c’è (almeno negli USA)

“God bless you, and God bless America”. In effetti molti saranno rimasti colpiti dal sentire questa frase a chiusura dei discorsi dei politici americani. Soprattutto in questi giorni di convention. Un articolo di Peace Reporter si interroga sulla religiosità americana fornendo tra l’altro alcune cifre sulle quali è bene riflettere: <<Il 96 percento degli americani crede in un Dio o comunque nell’esistenza di un essere superiore. Per il 60 percento, la religione è “molto importante” nelle loro vite. Il 40 percento va in chiesa almeno una volta alla settimana. Infine, il 36 percento crede che la Bibbia sia “la parola di Dio” da seguire alla lettera, mentre un altro 40 percento pensa che sia sì la parola di Dio ma non debba essere osservata pedissequamente>>. Fino ad arrivare alla conclusione che <<negli Usa un politico che si dichiarasse ateo, agnostico, o comunque senza una profonda fede in Cristo, non avrebbe speranze di essere eletto neanche nelle assemblee di quartiere>>. Quelli della U.U.A.A.R. se la prenderanno moltissimo, ma così è.